A Pomigliano si lavora così

A Pomigliano si lavora così

 

Ritmi tirati al decimo di secondo. Tempi ridotti per fare la pipì. Multe se non ti vesti in modo conforme. Poteri assoluti ai capisquadra. Rapporto-verità sullo stabilimento simbolo di Marchionne

 

Un operaio robusto vale 9 punti. Uno resistente 8. Uno giovanile 7. Un corpo normale 6. Se è obeso 5. Delicato 3. Gracile 1. Non conta soltanto l’aspetto fisico. Nella “Scheda di valutazione personale dipendente Autostamp srl” si misura anche il “comportamento”. Un lavoratore “ricercato” merita 8 punti. Uno “ordinato” 6. Uno “trasandato” 4.

L’Autostamp srl, sede a Caserta, non si occupa però di abbigliamento. Dal 2000 al 2005 ha gestito il reparto stampaggio delle carrozzerie dentro lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, l’impianto dal quale dipendono il futuro della contrattazione sindacale in Italia e i ritmi di vita per migliaia di famiglie.

Un settore che l’Autostamp ha acquisito dalla Fiat e poi restituito al gruppo di Torino con uomini e mezzi. Adesso che il confronto si fa più ruvido, si aprono i cassetti. E dalla storia recente della fabbrica escono questi moduli secondo i quali, per essere un buon operaio, non basta lavorare. Bisogna essere robusti e ricercati. Chi parla è un caposquadra: “Ora che sappiamo che la newco partirà con la cassa integrazione in deroga, non dovranno più ruotare il personale. L’azienda potrà chiamare chi le pare e imporre la scelta: o firmi o resti nel ramo morto della fabbrica. E quali saranno i criteri di selezione? Forse punteggi in cui un operaio “normale” vale meno di uno “giovanile”?”.

A Pomigliano sono i giorni della paura. La si respira nel paesone alle porte di Napoli con la puzza dell’immondizia bruciata nel deserto della periferia. E fin dentro il centro, nella passeggiata della domenica mattina tra corso Vittorio Emanuele e via Umberto I. Perché non c’è solo la Fiat che minaccia di andarsene. Ma anche il grande indotto di cui nessuno ha ancora svelato le carte. E l’effetto dell’incontro del 3 novembre spiazza perfino i lavoratori che l’estate scorsa hanno accettato l’accordo imposto dall’amministratore delegato, Sergio Marchionne: prendere tutti gli articoli o si chiude.

Di quell’accordo, l’articolo 9 diceva: “Il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento Giambattista Vico per predisporre gli impianti della futura Panda, presuppone il riconoscimento… della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione…”. Questo vincolo è già carta straccia proprio per volere della Fiat. Il 3 novembre l’azienda propone la cassa integrazione in deroga a partire dal 15 novembre e ottiene la firma dei rappresentanti di Cisl, Uil, Ugl e autonomi della Fismic. Contraria la Fiom.

La paura è che quando sarà il momento, la direzione dello stabilimento chiami i dipendenti uno per uno: “La cassa integrazione in deroga offre più libertà all’azienda e la possibilità di ridurre il 10 per cento del personale. A quel punto dovremo decidere se continuare a difendere le garanzie costituzionali o pagare la rata del mutuo e i testi dei figli a scuola”, dice un operaio non iscritto al sindacato.

Un comunicato della Fiat nega che l’azienda sia al corrente della “scheda Autostamp”: “Abbiamo fatto una ricerca presso lo stabilimento di Pomigliano e possiamo affermare che la scheda Autostamp non è mai stata utilizzata da Fiat durante la propria gestione, né prima dell’outsourcing né dopo l’insourcing. Non siamo quindi in grado di spiegare i criteri con i quali venivano fatte le valutazioni, né abbiamo traccia del database raccolto da Autostamp.

La nostra gestione non prevede una scheda simile”, risponde la Fiat a “L’espresso”: “Al termine del periodo di prova o alla scadenza di contratti a tempo determinato, c’è una valutazione complessiva da parte del capo responsabile”. “L’espresso” ha girato le stesse domande a Nicola Giorgio Pino, 61 anni, allora presidente del consiglio di amministrazione della Autostamp, messa in liquidazione nel 2006, e tuttora a capo di una serie di aziende dell’indotto Fiat. L’amministratore e i suoi rappresentanti non hanno finora risposto. La scheda Autostamp, secondo i moduli rivelati da un caposquadra, prevede punti anche su altri fattori come la capacità, la disponibilità e la volontà. Il punteggio varia da un minimo di 29 a un massimo di 89 centesimi. E, almeno nel periodo di permanenza della società nello stabilimento Fiat, il voto lo decideva il responsabile del reparto che si doveva esprimere su criteri non proprio metallurgici quali appunto obesità, aspetto e stile personale.

 

grandi parcheggi vuoti davanti allo stabilimento incorniciano la solitudine nella quale la politica, il governo e buona parte d’Italia hanno abbandonato gli operai di Pomigliano. Con l’effetto domino che si è già visto sul contratto di tutti i metalmeccanici. Nessun tentativo di mediazione. Nessuna contrattazione. “Se vuole le dico come la penso, ma togliamoci di qua”, chiede il caposquadra venuto a vedere la “sua” fabbrica. Terminata per sempre in primavera la produzione della 147 e degli altri modelli Alfa, resta la catena della 159, la sigla che doveva competere con la Bmw. Ma mentre il bilancio della casa bavarese chiude a fine ottobre una trimestrale luglio-settembre da record, l’ultima linea di Pomigliano funziona stancamente per pochi giorni al mese tra un periodo e l’altro di cassa integrazione.

Dallo stabilimento ci si allontana nella ragnatela di svincoli che porta a Napoli. “Non le dirò in quale reparto lavoro, mi deve garantire l’anonimato”, aggiunge il caposquadra. Quindi, oltre agli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione, state per rinunciare all’articolo 21: basta libertà di pensiero. Lui capisce la provocazione: “Guardi, io al referendum ho votato sì. Davanti al ricatto o così o chiudiamo, c’era solo questa strada. Ma è un accordo che renderà lo stabilimento ingovernabile. Hanno già cominciato a smantellare la linea della 147 per fare posto alla Panda.

E c’è qualcosa che non quadra dal punto di vista economico”. Cosa? “Dicono che la Panda renda un profitto di 70-100 euro a modello. Un buon modello di Alfa Romeo anche 4 mila euro. Dicono anche che in Polonia il lavoro costa la metà che in Italia. Allora prendono il modello che rende di meno, la Panda, e lo portano dove il lavoro costa il doppio. Le sembra conveniente? Se io fossi il presidente di Fiat licenzierei un manager che mi propone una fesseria del genere”.

Cioè lei licenzierebbe Sergio Marchionne? Sorride: “Vogliono andarsene e se ne andranno tra qualche anno con la scusa che produrre la Panda in Italia non rende. E intanto?”. Intanto? “Portano negli Stati Uniti la produzione del marchio Alfa, l’unico che ha un prestigio internazionale”.

Altri due colleghi del caposquadra attendono in un bar. “Loro sono operai”, dice: “Ma siamo amici. Non sempre succede con i capisquadra”. È la parte dello stabilimento che non milita nel sindacato. I due operai hanno votato no al referendum: 4231 votanti, 23 schede bianche, 57 nulle, 2.494 sì, 1.657 no, più del doppio dei 780 iscritti alla Fiom. Ma perché, con il progetto di Marchionne, lo stabilimento diventerebbe ingovernabile? “Perché attribuisce ancor più potere discrezionale ai capisquadra e ai capireparto. Così scarica su di noi la conflittualità. Faccio un esempio: tre pause da 10 minuti contro le due da 20 minuti dell’attuale contratto, non garantiscono che tutti abbiano il tempo per andare a fare pipì. Chi non ha mai fatto catena di montaggio non può capire. Bisognerebbe immaginare di montare qualcosa salendo contromano la scala mobile e, mantenendo la stessa posizione, maneggiare attrezzi, pesi, viti, guarnizioni. Così per sette ore al giorno, escludendo pause e mensa. I bagni sono a volte a più di cento metri. E se uno mi rientra in ritardo di due minuti, cosa faccio? Lo punisco con una lettera di contestazione per una pipì fuori tempo massimo?”.

Il campionario delle contestazioni di capisquadra e sorveglianti non scherza. Ecco qualche caso descritto nei verbali. Due ore di paga trattenuta per non avere indossato la tuta durante un corso di formazione in aula. Oppure per non avere trattato con cura gli indumenti da lavoro. Oppure per avere “deliberato come conformi… 2 bracci, palesemente di scarto per saldature fuori traiettoria”. E il mancato rispetto dei tempi di montaggio, questione di decimi di secondo, sono altre ore di multa.

Nel 2008 la Fiat sottopone gli operai di Pomigliano a un programma di rieducazione. Lo chiamarono così. Giorni di corso per raggiungere gli standard Toyota. Venti, trenta proiezioni al giorno della scena di “Ogni maledetta domenica” in cui Al Pacino pronuncia la celebre frase davanti alla squadra di football: “Ora, o noi risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, fino alla disfatta”. Un anno e mezzo dopo, settembre 2009, Pomigliano batte per produttività Mirafiori e ottiene la medaglia di bronzo dal guru del metodo Toyota, Hajime Yamashina, ingaggiato dal gruppo di Torino. Un anno dopo, mentre la Toyota ha dovuto ritirare 8 milioni di vetture per difetti rivelati già nel 2005 e mai presi in considerazione, Marchionne smentisce Yamashina e definisce i suoi operai italiani tra i meno produttivi al mondo.

 

Il futuro dell’indotto è un altro mistero, dicono i dipendenti di Pomigliano. Un caso è la Fma, la fabbrica del gruppo pagata in gran parte dallo Stato per produrre motori in provincia di Avellino. Secondo una ricerca di Francesco Pirone, del dipartimento di Sociologia dell’Università di Salerno, sono attive in Campania “105 unità locali di impresa (comprese quelle Fiat), per un totale di 18.347 addetti”. Ma la Panda riuscirà a dare lavoro all’indotto? “La qualità delle forniture è un altro aspetto che influisce sull’accordo che Fiat vuole applicare”, spiega il caposquadra di Pomigliano: “Si chiede di portare la saturazione del lavoro degli operai al 99,9 per cento.

Si tratta di azioni ripetitive da compiere in sincronia con i robot e con lo spostamento dell’auto sulla catena. Saturare a questi livelli significa che se ho una guarnizione troppo rigida o difettosa non ho più margini di recupero e sono costretto a mandare avanti l’auto senza montare quel pezzo. Questo fa scattare una contestazione da parte del capo del team. E io, in anni e anni di Fiat, non ho mai visto una giornata intera in cui i pezzi andassero al loro posto perfettamente. Così dovrei punire l’operaio che non riesce a seguire il ritmo.

Gli attuali margini di saturazione erano già all’88 per cento. Oltre a questo si parla di estendere lo straordinario a 320 ore all’anno. Sono 45 giorni in più di lavoro. Come se un anno fosse fatto di tredici mesi e mezzo. Con una drastica riduzione del riposo e quindi della sicurezza. E sapete a cosa servono queste ore in più?”. A cosa? “I pezzi della Panda non verranno prodotti vicino a Pomigliano, secondo le regole just-in-time, pronto subito, ma in Polonia. Ma si può chiamare “pronto subito” una fornitura che può essere bloccata da una nevicata al Brennero o dalla dissenteria di un camionista? Allora c’è l’articolo 4 dell’accordo. Gli operai dovranno rinunciare al loro riposo per recuperare il ritmo di produzione di una Panda ogni 80 secondi”. Sorriso di tutti: “Ma venderanno una Panda ogni 80 secondi?”.

 

di Fabrizio Gatti fonte l’espresso la repubblica

A Pomigliano si lavora cosìultima modifica: 2010-11-26T18:45:02+01:00da tonyan1
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “A Pomigliano si lavora così

I commenti sono chiusi.