Il reggimento ‘greco’ Real Macedone del Regno di Napoli

Il reggimento ‘greco’ Real Macedone del Regno di Napoli

Jannis Korinthios/ Γιάννης Κορίνθιος

batta-macedonepg1-129x150.jpgDal mese di settembre 1735 1 la corte di Napoli, avendo ricevuto proposta da «persona incaricata da corrispondenti della Dalmazia», si era attivata alla costituzione di una milizia di «slavoni macedoni» e il residente {rappresentante diplomatico} di Venezia a Napoli, Cesare Vignola, seguiva con estrema preoccupazione questa faccenda: «mi traspira massima che non lascerebbe d’esser spiacevole alla pubblica venerata sapienza sempre che venisse ad aver il suo effetto», scriveva Vignola, in un dispaccio del 12 giugno 1736, ricordando che essi prestavano servizio per la Repubblica di Venezia damolti secoli; ma, a suo dire, l’accordo non si era ancora perfezionato perqualche discrepanza per le condizioni proposte2.

La Repubblica di Venezia seguiva altresì con molta attenzione l’arruolamento, ad opera direclutatori napoletani, di greco-albanesi nel comprensorio di Chimarra 3 . Il residente della Serenissima, Vignola, il 10 luglio 1736, informava la Repubblica che la corte di Napoli aveva intenzione di accettare la proposta di costituzione di un reggimento Real Macedone 4e che era stato incaricato del reclutamento del nuovo reggimento Marco Renese d’ Almissa, tenente colonnello, «uomo di cattiva condizione …costì inquisito e scacciato e sprovvisto di danaro»; Marco Renese agiva su ordine del conte Demetrio Sava, robabilmente orginario di Chimarra e noto anche come conte di Sajves 5; Vignola aggiungeva inoltre che le bellissime uniformi della nuova milizia sarebbero state confezionate, secondo l’uso della Dalmazia, dal franceseDaran6. Il 14 agosto 1736 Vignola faceva ancora sapere che il dalmata che si era adoperato per la leva del nuovo reggimento si era rivelato impostore, fuggendo, «dopo aver deposta la divisa militare ed essersi rasati li mustacchi» e che la corte di Napoli si era rifiutata a concedere a chiunque «anticipazioni di soldo»7.

Malgrado ciò il progetto del nuovo reggimento di truppe forestiere non si arenava e il padovano Leoni si adoperava per portarlo a buon fine; il console veneto di Otranto riferiva di arruolamenti condotti in Albania dal cavalier Nipae dal capitano Gicca, entrambi sudditi veneti 8 . Il 30 luglio 1737, Vignola informava ancora il Senato che aveva saputo dal console veneto di Otranto che era approdata, proveniente dall’Albania, un’ imbarcazione con 24 albanesi agli ordini del capitano Strati Gicca; questi 24 mercenari costituivano il primo scaglione del reggimento di cinquecentouomini arruolati per l’esercito napoletano9 . In seguito, il conte Gicca nel settembre 1737 si spostava a Napoli per discutere con le autorità militari dell’organizzazione del nuovo battaglione albanese in corso di reclutamento. Il 15 ottobre 1737 Vignola inviava al Senato un «Notamento delle terre d’Albania nelle quali Strati Gicca ha raccolta la gente albanese per condurla inquesto regno per servizio della corte di Napoli»; egli confermava la notizia che il nuovo reparto sarebbe stato denominato Real Macedone e che «tutta la delicatezza del progettante è di sostenere che a queste truppe le siano accordate capitulazioni più avantagiose di quelle che sono state convenute coi svizzeri, li quali gelosi all’incontro come lo sono di conservare la preferenza sopra gl’altri corpi militari non trascurano d’indagare con ogni diligenza se in quest’occasione le viene inferto alcun torto, nel qual caso forse non lo sorpasserebbero senza mostrarne rissentimento» 10. Il reclutamento del reggimento Real Macedone avrebbe coinvolto, secondo il progetto originario, solo sudditi ottomani, greci epiroti e albanesi; tuttavia Venezia sospettava, a ragione, che l’ingaggio potesse coinvolgere anche sudditi della stessa Repubblica. Il nuovo reggimento sarebbe stato formato da due battaglioni; tuttavia esso veniva chiamato sino a oltre il 1754 semplicemente battaglione Real Macedone. A Vignola appariva stravagante la decisione della corte napoletana di reclutare, nonostante il parere contrario dei comandi militari, truppe che non hanno fama di avere grande disciplina. A quanto pare, il nuovo battaglione aveva una uniforme che colpiva per la sua bellezza esotica e, secondo il diplomatico di Venezia, «la singolarità del vestito dicesi sia stata quella che ha rapito il genio di sua Maestà a volerne un corpo a suo servizio»11. Intanto il reclutatore Strati Gicca restò per complessivi due anni in Albania, dove riceveva continuamente finanziamenti per portare a compimento il reclutamento del battaglione Real Macedone; si diceva in giro che egli stesse arruolando per lo più soldati giovanissimi o in età avanzata; con lui collaborava la famiglia Valmuti di Giannina, secondo una informativa segreta di Vignola del 24 dicembre 1737; secondo il residente veneto, «non vi è però chi faccia buon pronostico a questa nuova truppa, ravisandola tutti per inquieta ed affatto disutile, quando restasse massime privileggiata, come vien detto, dall’armar le galere, dove si considera anzi esser quello il miglior servizio che possa esigersi dalla medesima. Intanto l’impegno è passato troppo avanti essendovi di mezzo la parola reale che lo avvalora e sostiene; l’esperienza poi darà in progresso di tempo a divedere se susisterà lungamente la compiacenza d’averlo così aggevolmente abbracciato col disgusto quasi di tutto questo ceto militare»12. Le reclute del nuovo battaglione, dopo aver attraversato l’Adriatico, si fermavano in Puglia per scontare la consueta quarantena; spesso scoppiavano incidenti durante la loro breve permanenza in Puglia13, dovuti presumibilmente al fatto che la corte di Napoli inviava ogni volta a Bari un ufficiale ispettore per scegliere tra le reclute sbarcate solo quelle effettivamente idonee alla vita militare; durante una di queste ispezioni l’ufficiale reclutatore aveva scartato settanta albanesi, facendoli imbarcare alla volta del loro paese. Vignola informava, l’11 febbraio 1738, che tra gli albanesi reclutati c’era anche il nipote del capitano Polimero di Chimarra, che intendeva offrire al re un secondo battaglione di albanesi ben addestrato alle armi, ma tale progetto pare non incontrasse allora tanto favore14. La corte di Napoli faceva ogni sforzo per completare comunque l’arruolamento del primo battaglione, ricorrendo anche a disertori della marina veneta15. L’8 settembre 1739 un reparto del battaglione che «per la maniera del vestito, qui non accostumato, somministra una particolare compiacenza al vederlo, prese parte alla festa popolare di Piedigrotta». Si raccontava in giro per le strade di Napoli che fu la loro sorprendente e pittoresca uniforme ad «aver acceso al re il primo desiderio» di costituzione di questo reggimento. Secondo informazioni raccolte dal residente Bartolini e inviate il 15 settembre 1739 a Venezia, «il merito d’avernelo invogliato fu d’un certo capitano Renis16, che finse d’avere commissioni dai principali della Chimarra di esibire a SuaMaestà un corpo di quella nacione ed, assistito da certo vescovo di quelle provincie17, che pur qui si ritrovava, riuscì d’esserne dell’impresa incaricato e per tale effetto anche provveduto di ducati 2000, con i quali dar principio alla raccolta. Scoperto poi per falso quanto asseriva circa gl’ordini dei principali chimarriotti e ritrovato incapace di supplire all’impegno, non so se sia stato discacciato, oppure, per timore del meritato castigo, siasene fuggito; certo è che da esso passò nel noto Strati Gicca l’impegno». Qualche giorno dopo Carlo di Borbone assisteva all’esercitazione del nuovo battaglione nella piazza di fronte al Palazzo Reale «con evidente compiacimento»18. Venezia non ha gradito questo avvicendamento temendo diserzioni tra i propri sudditi e reclutamento illegale di sudditi veneti19. Ma il conte Corafà, appena giunto a Napoli, ha manifestato al residente Bartolini i propri sentimenti di fedeltà alla Repubblica di Venezia, affermando che questo «immutabile proponimento lo aveva chiaramente spiegato alla serenissima ducchessa Dorotea di Parma, la quale per certe relazioni di servitù seco e con quella Cortecontratta, avevasi preso questo affare di condurlo alla direzione di questo battaglion macedonio in servizio di questo re e che tale ufficio lo averebbe essercitato da vero suddito della Repubblica Serenissima, di cui sa essere buon amico questo principe, cui intraprende servire, risoluto di astenersi affattonell’occorrenza delle reclute, ed in qualunque emergenza, non solo dal tentarequelle persone che si ritrovassero in attuale servicio di Vostre Eccellenze, ma dal ricevere puranche nel battaglione stesso alcuno dei loro sudditi»20.E viste le perplessità di Venezia, nel mese di dicembre 1739 il conte Corafàprovvedeva a contattare nuovamente Bartolini per tranquilizzarlo ancora suipropri sentimenti di devozione verso la Serenissima; il Bartolini specificava, inun suo dispaccio inviato a Venezia, che «intorno al nuovo reparto traspiro che,in luogo di chiamarlo battaglione albanese macedonio, siasi stabilito nominarlo greco macedonio e greci, invece d’albanesi, saranno detti quelli che lo compongono; e di più che sarà per essere soggetto alla primariasopraintendenza del signor di Montallegre, non più a quella del generaleinspettore Spinosa. E quanto alla persona del colonnello, aver spedito certoufficiale, seco venuto, nel regno di Morea, affine diraccogliere colà qualche numero di reclute»21. Nell’accordo di costituzione del reggimento Real Macedonia siglato il 27 dicembre 173922veniva, infatti, prescritto che «la gente dello stesso corpo debba essere greca Macedone, non suddita, né reclutata nello Stato della repubblica di Venezia»; un secondo accordo venne peraltro siglato il 1 aprile 1754. Il contratto di arruolamento prevedeva comunque che il riferito reggimento «servirà a S. M. in tutti i suoi Dominj, e dove S. M. vuole e necessita contro tutti i suoi nemici… eccettuata la Repubblica di Venezia».

Il nuovo cmandante, colonnello conte Corafà, si presentò a re Carlo di Borbone in divisa da albanese, facendogli omaggio della propria spada, «asserendo essere appartenuta a Giorgo Castriota Scanderberg», eroe dell’indipendenza albanese. L’omaggio della spada, che il re mostrò di gradire particolarmente, fece scalpore negli ambienti della corte; sorsero comunque dei dubbi sull’autenticità della spada, per cui il conte Corafà incaricò immediatamente il capitano reclutatore Nicolò Panà, anch’egli originario di Cefalonia23 e suo stretto confidente, che si trovava a Napoli da tempo, di andare a Cefalonia per prelevare l’antica originaria impugnatura e alcuni documenti. Il re si era, quindi, «invaghito di questo nuovo reggimento», che rimaneva accampato a Capua, in attesa di trasferirsi quanto prima a Napoli 24. Secondo un’informativa del residente veneziano Bartolini l’uno e l’altro di questi sovrani «lo mirano con predilezione, sempre più invaghiti del vestito, geniale al re perché qui né in Spagna accostumato, e alla regina perché si rassomiglia a quello de’polachi». Intanto il conte Corafà seguiva le pratiche della leva, desideroso di rendere al più presto operativo il suo reparto; egli inviava a questo scopo un reclutatore in Morea per arruolare altri soldati, visto che occorrevano ancora altri 220 per completare i ranghi25. Nel 1740 ci fu una rissa con ammutinamento nell’accampamento di Capua del battaglione Real Macedone e secondo un’informativa di Bartolini «ventidue ufficiali furono discacciati e con la scorta di una squadra di cavalleria condotti fin fuori di Capua, dove, spogliati e laceri quai vennero, hanno ricevuto ilcongedo e, per meglio dire, lo sfratto da questi Regni»; a quanto pare la rissa nacque dopo la nomina di Corafà al comando del reggimento26. Bartolini con nuovo dispaccio del 19 aprile 1740 spiegava i motivi e le conseguenze della rissa: «Furono posti in catena 30 soldati del battaglione Real Macedone, come rei di meditate disercioni, non ordinaria stata essendo poi lamaniera con cui vennero scoperti ed arrestati. Un sargente dello stesso battaglione, avendoli prima sedotti e poi riscossa da essi qualche summa per provedere la filuca ed altre cose necessarie ad effettuare lo scampo, consumò in proprio uso tutto il dinaro, ed in tali angustie ridotto, prese il ripiego di ricercare per sé al colonnello la immunità, palesandogli poi li nomi di tutti quelli ch’egli aveva subornati alla fuga. Successe ad ogni modo l’arresto non solo dei sedotti, ma del seduttore medesimo, che si crede pagherà con la vita la pena del suo delitto, in lui, più che negl’altri, reso odioso e detestabile. Con tutto ciò in questa passata notte disertarono altri sette di esso battaglione, quai furono inseguiti, con qual esito tuttavia si attende di saperlo, non essendo fin ad ora ritornati gl’insecutori. Traspiro peraltro che il nuovo colonnello non siasi peranche conciliato certo affatto negl’ufficiali e soldati, inclinando piutosto al noto Strati Gicca»27.

E’ evidente che il nuovo comandante Corafà risultava poco gradito alle reclute che mal volentieri avevano accettato la deposizione dal grado di colonnello di Strati Gicca. Bartolini, infatti, scriveva il 17 maggio 1740 che «di quando inquando van succedendo frattanto nel battaglione stesso delle disercioni e non si ritrovano li soldati, come non lo erano li ufficiali che hanno ricevuto losfratto, contenti del nuovo colonnello, desiderandosi il deposto Strati Gicca»28. Comunque gli ammutinamenti si registravano continuamente nel reggimento elo stesso Corafà, nel 1744, non riusciva ancora «a capacitarsi del gradimento che riscuoteva il primo lor capitanio Strati Gicca»29. Il conte Corafà aveva comunque in gran fretta nuovamente inviato in Albania quattro ufficiali reclutatori per fare altri arruolamenti, in vista della formazionedi un secondo battaglione30. Nei primi di dicembre 1740 giunsero, accompagnati da un sergente, a Napoli 19 nuove reclute, inviate da Giovanni Metaxà che restava nel Levante per poter reperire altre reclute; le nuove reclute, secondo il residente veneziano Bartolini,

erano «cefaloniotti imbarcati a Dragomeste e a Missolongi, posti in rollo per il battaglione macedonio e traspiro che sianvi stati descritti con nomi supposti eper nativi di paese ottomano».

Inoltre il console veneto a Messina aveva comunicato l’arrivo là di NicolòMetaxà «con 15 individui levati a Cefalonia per il reggimento, facendo sapere che il Metaxà restava a Messina in attesa di recuperare ancora altri dieci da Malta»; lo stesso console spiegava dettagliatamente le modalità del reclutamento dei sudditi veneti, che solo apparentemente sembrava condotto legalmente, visto che veniva attuato in territorio ottomano e non in quello della Serenissima: «queste sono le pratiche del Metaxà e degl’altri ufficiali usciti in recluta, di sedurre alla fuga dai pubblici Stati le persone, che si trasferiscono

poi in Arta, Missolongi, Patrasso e Dragomeste, da dove si traducono poi in questo Regno e poste in rollo con nome e cognome finto»31.E’ importante seguire le vicende del reggimento Real Macedone, perchè siintrecciano strettamente con quelle della confraternita dei nazionali greci diNapoli. Al seguito delle reclute giungevano, infatti, a Napoli anche i lorofamiliari in cerca di lavoro, tra cui molti caffettieri.L’arrivo di molti greci nel regno di Napoli indusse la corte di Napoli aconcludere un concordato nel 1740 con la Sublime Porta Ottomana; iconcordato poneva sotto la giurisdizione di un regio delegato tutta la nazionedei greci ‘ottomani’. In seguito a questo trattato, la corte di Napoli intendevaistituire quattro consolati a Modone, Smirne, Aleppo e Cairo32.Nel 1741 il conte Corafà fu inviato a Costantinopoli per portare un regalo allaSublime Porta in occasione della firma della pace. Durante la permanenza aCostantinopoli, Corafà si attivò a trovare reclute ma senza successo; riuscìsoltanto a imbarcare 70 sudditi turchi come servitori per gli ufficiali delreggimento e una banda di 12 suonatori musicisti33. Al suo rientro a Napoli, ilconte otteneva il grado di brigadiere d’Infanteria.Successivamente, il reggimento Real Macedone, sotto il comando del conte Corafà, partecipava valorosamente alla guerra di successione austriaca, distinguendosi a Velletri e durante la conquista di Tortona, Piacenza e Pavia; il27 marzo 1746, Corafà veniva fatto prigioniero a Guastalla, ma veniva prestoliberato per interessamento personale della regina Maria TeresaIl residente veneziano Giacomo Antonio Piatti inoltrava, in data 21 marzo 1747,un dispaccio ai Cinque Savi alla Mercanzia con informazioni molto dettagliatesulla costituzione di nuove colonie di famiglie albanesi nel regno delle DueSicilie, «secondo antico e inveterato costume», per ripopolare le regioni desertedi manodopera agricola. Anche il principe di Francavilla Michele Imperiali

stava contrattando nel 1747 una colonia di quaranta famiglie di albanesi per i suoi territori. Questi colon arrivavano sempre solo dopo la firma di un accordo circostanziato;in genere venivano loro accordate le spese di viaggio e di quarantena, nonché lespese di trasporto per persone e bagagli fin nei luoghi di nuova accoglienza;inoltre ottenevano provviste di farina, sale, olio, lardo e legna per sei mesi,nonché un’abitazione gratuita per alcuni anni e la franchigia dai dazi e onericomunali per almeno otto anni; nello stesso tempo, ad essi venivano concessigratuitamente un paio di buoi, una vacca, un porco e alcune pecore. Queste nuove colonie venivano quindi formate per garantire la coltivazione delle terre dei vari feudatari e il prodotto delle terre veniva diviso con i feudatari del

luogo34. Tra le colonie allora fondate verso la metà del ’700 per ripopolare e coltivareterritori abbandonati, bisogna citare anche Montresta in Sardegna, costituita

nel 1750, con l’insediamento di greci mainotti, provenienti dalle Baleari e dallaCorsica e sbarcati nel porto di Bosa, insediamento autorizzato da CarloEmanuele III di Savoia35.

La possibilità di arruolarsi nell’esercito borbonico favoriva soprattutto questocontinuo flusso migratorio di greci e albanesi verso il regno delle Due Sicilie;Napoli si ripopolò di greci, che giungevano non soltanto per arruolarsi, maanche per esercitare diversi mestieri nella capitale del regno.Così riportava il Meola:«Ma come ne’principj del suo regno il re Carlo di Borbone diede luogo nel suoesercito alle greche truppe, verso il 1740 venute di Albania, che il nome di macedoni da quel tempo han riportato; così la città viddesi di molti grecifrequentata, di ogni parte del Levante quà venuti, a professar varj mestieri

ancora, oltre quello della guerra. Ed a questi fu per certo di molto ajuto il trovarun asilo di religione in Napoli [comecchè a tutti non bisognasse], piuttostochèla nostra chiesa sentisse di loro alcun vantaggio, o beneficio degno della memoria»36. Il conte Corafà nel 1756 provvide all’arruolamento di nuove reclute pagando 1000 ducati a Giovanni Mauromicali, primate della provincia libera di Maina in

Morea. Due anni dopo arruolò altre reclute a Smirne pagando 5000 ducati.Nel 1757 Corafà diventava gentiluomo di camera di Carlo di Borbone. Il conteera un uomo dotto, in buoni rapporti con Samuele Pompilio Rodotà e PasqualeBaffi. Bernardo Tanucci lo descriveva, in una lettera del 15 luglio 1749, come«uno dei più assidui cicisbei di mia moglie e un antico amico della mia casa».Il conte Corafà nel 1769 andò a Ischia per cure termali e in quell’occasionedecise di acquistare una casa a Barano di Ischia lungo il pendio che portava allido dei Maronti; nel 1771 il comune gli cedeva anche un adiacente terreno. Fuproprio il Corafà ad aver fatto costruire con pietre vulcaniche una strada lunga499 passi e larga 8 piedi, fiancheggiandola da piante di gelsi, per poterscendere da Testaccio alla marina dei Maronti, dove egli era riuscito a rintracciare la sorgente sepolta delle acque minerali di Olmitello in un vallonealle spalle dei Maronti.Il Corafà fece, peraltro, nel 1769 murare nella piazza del Testaccio una primalapide commemorativa dell’apertura della strada (che rendeva agevolmentefruibile la fonte di Olmitello) con una statua di San Giorgio, mentre unaseconda lapide venne messa in un secondo tempo dal comune, entrambe sovrastate dallo stemma del casato del conte, che raffigurava un leone rampante con in mano un giglio.

Corafà moriva nel 1775 a Ischia, ma veniva sepolto nella real arciconfraternitadella Beata Vergine dei Sette Dolori in San Luigi di Palazzo.Al conte Corafà successe al comando del reggimento il conte Gicca esuccessivamente il figlio Atanasio Gicca.Ferdinando IV, anche dopo la morte di Corafà, continuò a interessarsi, al paridi suo padre, del reggimento Real Macedone; il re incaricò allora il tenentegenerale Diego Naselli a inviare come ufficiali reclutatori in Epiro gli albanesiGiovanni Spiro e Cristoforo Dugagini per contattare nuovamente i primati dellaregione e soprattutto Costantino Kasnezki per concordare l’arruolamento dinuove reclute. Questi due emissari firmarono allora una nuova convenzione,ottenendo nuove reclute, in cambio di pensioni e onori per i reclutati, nonché laconcessione di dieci posti nel Collegio della Nunziatellia per i figli dei primatid’Epiro. Tra i contrari alla firma di questa convenzione fu allora Alì pascià di Giannina.I militari del Reggimento seguivano le sacre funzioni nella chiesa dei greci di Napoli. Vedi citazione in orazione (Lovgo” ejgkwmiastiko;” eij” th;n ÔAgivanAijkaterivnhn) del vescovo Cirillo egumeno di Montesinai, declamata dallo stessonella chiesa greca nel 1774 e pubblicata in allegato nella ΔAkolouqiva tou’ ÔAgivouejndovxou iJeromavrturo” ΔIannouarivou (Venezia 1776): Fuvlatte ÔAgiva tou’ Qeou’ kai;tou;” ejklamprotavtou” ojffikialivou” tou’ basilikou’ rJeggimevntou tou’ Makedonikou’,tou;” ejleou’nta” kai; diakosmou’nta” hJma’”. Cavrisai aujtoi’” pavnta ta; pro;” swthrivanaijthvmata.Esiste nell’Archivio Storico della Confraternita una polizza bancaria a nome delReal Reggimento Macedone fatta alla chiesa e datata 2 luglio 1781, chedimostra i rapporti stretti del Reggimento con la chiesa greca di Napoli: «E pernoi li suddetti ducati trentasei li pagate alli Signori Governatori attuali dellaReal Parochial Chiesa de’SS.Pietro e Paolo della Nazione greca e detti sono pertanti che se li pagano annualmente in beneficio di detta Real Parochia dalRegimento Real Macedone per la pia assistenza e sepoltura che prestaall’Individui del detto Reggimento dichiarandosi con questo di aver soddisfa ttodi tutte le annate passate. Napoli 2 luglio 1781. Giovanni Vescovo capitano

cassiere. Nestore Andruzzi capitano cassiere». Il 6 luglio 1781 i governatori chiedevano al regio delegato Avena il permesso di ritirare questa sommaspecificando che tale pagamento era stato fatto «con espressioni equivoche e nuove, essendo aggiunta la parola d’assistenza quando che la chiesa non presta altra assistenza che nella chiesa istessa», per cui chiedevano ad Avena il

permesso di ritirare la somma «senza alcun pregiudizio per la chiesa, presenteo futuro». Nella chiesa greca c’era nel 1778 un quadro di San Spiridione del reggimentoReal Macedone, restituito successivamente al reggimento con regolare ricevuta.Questo santo taumaturgo godeva di grande considerazione e devozione tra igreci di Napoli ma anche tra i napoletani; infatti molti napoletani erano solitiandare nella chiesa greca per venerarlo, dove si conservava un reliquiario con«parte del sacro calciamento».Nel 1812 veniva sciolto il Reggimento Real Macedone e i 526 veterani furonorimandati in patria nel 1813.In seguito, nel 1815, il re Ferdinando IV incaricò il generale inglese RiccardoChurch a riorganizzare nuovamente il reggimento Real Macedone sotto il nomedi Cacciatori Macedoni; il nuovo reparto dei camiciotti rimase attivo sino al 6luglio 1820, quando fu nuovamente sciolto e i soldati esonerati vennero ancora rimpatriati.

1 Archivio di Stato di Napoli {d’ora in poi ASN}, Affari Esteri, fascio 2215, 3 settembre 1735.

2 Vedi Mario Infelise (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli.

Dispacci , vol. XVI (16 giugno 1732-4 luglio 1739), Roma 1992, p. 362.

3 Il libero comprensorio di Chimarra, che comprende un gran numero di frazioni, è stato al

centro di numerose sommosse (1481, 1488, 1494-1509, 1537, 1571, 1595, 1690,

1713). Solo Alì pascià di Gianina riuscì ad occupare Chimarra nel 1797.

4 Reggimento Real Macedone, noto anche come reggimento d’Infanteria Real Macedonia.

Contrario alla costituzione del reggimento era il conte di Charny, che considerava gli

albanesi «gente di scarsa fede, facile a cambiar partito ed inclinata a disertare».

5 Si attivò allora per il reclutamento anche il vescovo metropolita di Negroponte, Sava II

Petrovic Njegus (1702-1781), che era da tempo in contatto con la corte di Napoli.

6 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., pp. 370-371.

7 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 380.

8 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 382 e n. Il conte Strati Gicca,

originario di Chimarra, era stato tenente della Repubblica di Venezia, poi degradato e

bandito fuori dai confini della Repubblica; si veda anche Archivio di Stato di Venezia

(d’ora in avanti ASV), Provveditori di Terra e di Mar, fz. 81, 15 settembre e 10

novembre 1737, fz. 1293, 25 novembre 1738.

9 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 466.

10 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 486.

11 Si veda dispaccio del Vignola del 26 novembre 1737 in Infelise, Corrispondenze

diplomatiche cit., p. 496.

12 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., pp. 509-510.

13 La notte del 15 aprile 1738 alcuni ufficiali con cinquanta soldati avevano scalato le

mura del castello di Bari e con tutta la più felice tranquillità erano fuggiti a bordo di una

feluca ancorata sulla spiaggia.

14 Cfr. Infelise, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 519.

15 Un colonnello aveva ottenuto un finanziamento di 300 zecchini per andare a Bari alla

ricerca di disertori.

16 Forse da identificare con Marco Renese di Almissa, già noto come reclutatore di

albanesi.

17 Probabilmente va identificato con il vescovo metropolita di Negroponte, Sava II

Petrovic Njegus (1702-1781), che manteneva stretti rapporti con la corte di Napoli. Il

provveditor generale in Dalmazia della Serenissima Girolamo Querini descriveva questo

metropolita come torbido e feroce.

18 Vedi Eurigio Tonetti (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli.

Dispacci , vol. XVII (30 giugno 1739-24 agosto 1751), Roma 1994, p. 58.

E siccome non si riusciva a mantenere la disciplina tra le nuove reclute, il

comandante Strati Gicca venne sostituito nel 1739 al comando dal conte

Giorgio Corafà (1697-1775 ca) di Cefalonia, anch’egli suddito veneto. Aspirava

ugualmente al comando del reggimento il cavaliere palermitano Pietro

Celestino Moroni, ma la corte di Napoli preferì assegnarlo al nazionale greco

Corafà.

19 Vedi introduzione in Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., pp. 11-14.

20 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 92.

21 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 102.

22 Capitoli a stampa proposti dal conte Corafà e approvati dal re per l’allestimento del

reggimento Real Macedone, in lingua spagnola, Napoli 27 dicembre 1739.

23 Il nipote di lui Giovanni Panà sarà insignito del grado di alfiere dal segretario di Stato

Monteallegre.

24 Vedi dispaccio di Aurelio Bartolini del 12 gennaio 1740 in Tonetti, Corrispondenze

diplomatiche cit., pp. 107-108.

25 Vedi dispaccio di Aurelio Bartolini del 19 gennaio 1740 in Tonetti, Corrispondenze

diplomatiche cit., pp. 107-108.

26 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., pp. 128 e 129.

27 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., pp. 134 e 135.

28 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 143.

29 Nel 1744 ci fu una ribellione del reggimento in favore di Strati Gicca.

30 Il 6 agosto 1740 Bartolini scriveva al Provveditor General da mar per esprimere le sue

preoccupazioni per il nuovo arruolamento; egli era riuscito a scoprire un reclutamento

macchinoso e illegale promosso dal conte Corafà e a sapere dell’arrivo a Napoli di

Francesco Corafà, di Nicolò Metaxà e di suo fratello Giovanni Metaxà che a Prevesa

gestiva il reclutamento insieme a parenti del Corafà; lo stesso Bartolini si procurò

l’elenco di tutti gli ufficiali del reggimento che trasmise con sollecitudine a Venezia; cfr.

Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 170.

31 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 209.

32 Cfr. A. Di Vittorio, Il commercio tra Levante ottomano e Napoli nel secolo XVIII, Napoli

1979, pp. 61-67.

33 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 265 e n.

34 Vedi Tonetti, Corrispondenze diplomatiche cit., p. 733.

35 Cfr. R. Ciasca, Momenti della colonizzazione in Sardegna nel secolo XVIII (note

d’archivio) , in “Annali di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, Cagliari 1928, p.

155; F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, vol. II, Sassari 1975, p. 235;

Alberto Ferrero Della Marmora, Itineraire de l’Ile de Sardaigne, pour faire suite au Voyage

en cette contrée, vol. II, Torino 1860. Si veda anche Archivio di Stato di Cagliari {d’ora in

avanti ASC}, Segreteria di Stato, serie I, vol. 9, cc. 328r e 328v e cc. 330-331 e 332r;

ASC, Segreteria di Stato, serie II, vol. 1289; ASC, Segreteria di Stato, serie I, vol. 13, c.

297 e sgg. Ai greci mainotti, posti sotto speciale regia protezione venne assegnato un

terreno bastevole per la costruzione di case in forma di villa e con qualche ordine

regolare.

36Gian Vincenzio Meola, Delle Istorie della Chiesa Greca in Napoli esistente, Napoli 1790,

p. 146.

NOTA BENE: Questo contributo è un’anticipazione, tratta dal libro in corso di stampa di Janni s Korinthios dal titolo Storia dei greci di Napol i dalla caduta di Costantinopoli sino alla fine della seconda guerra mondiale.

da: http://www.initial.gr/

Il reggimento ‘greco’ Real Macedone del Regno di Napoliultima modifica: 2010-12-19T12:40:14+01:00da tonyan1
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