MCM: Quel sogno di industrializzazione diventato cumulo di macerie

MCM: Quel sogno di industrializzazione diventato cumulo di macerie.

Il complesso industriale di Via Napoli era uno dei più all’avanguardia del Meridione

DNA.087-300x254.jpgDiscutere di industrie tessili nel nostro territorio è ormai un compito che appartiene agli studiosi dell’archeologia industriale e agli appassionati di storia locale, piuttosto che agli stessi imprenditori svizzeri, che un tempo fecero del nostro comprensorio un polo tessile di rilevante importanza, apportando non pochi cambiamenti al tessuto sociale ed economico delle nostre comunità. Chiedersi oggi come sia stato possibile realizzare degli insediamenti produttivi senza l’intervento diretto dello Stato, in una zona dell’Italia meridionale, è alquanto provocatorio se si pensa che il declino delle nostre industrie è una scelta di carattere prevalentemente politico. Mentre oggi i nostri giovani continuano ad emigrare per la ricerca di un lavoro, stupisce sapere che nel sud prima del 1861 l’emigrazione era sconosciuta, esisteva piuttosto un’immigrazione. Seppure la fondazione dello stabilimento di via Napoli risale al 1876, per comprendere le cause che portarono alla sua creazione è necessario effettuare un’analisi di più ampio respiro procedendo a ritroso fino a giungere al periodo d’oro del Regno delle Due Sicilie, un’epoca di sviluppo che resterà memorabile nella storia del Mezzogiorno. Molti svizzeri nel XVIII secolo- come nota Lorenzo Zichichi ne “Il colonialismo felpato”, -erano scesi al Sud, per prestare servizio presso un re che governava in una terra baciata dal sole, nel centro del Mediterraneo. Paese indipendente, né colonizzato, né colonizzatore, che offriva il vantaggio di avere un suo sovrano, ma anche di essere privo di una forza tale da poter e voler praticare una politica espansionistica ed egemonica-. Insieme ai mercenari svizzeri, un rivolo continuo di operai, artigiani, ma anche imprenditori si stabilirono nel regno dei Borbone, attirati dalle condizioni favorevoli che qui vi trovarono, ma spinti anche da altri eventi geopolitici che interessarono l’Europa dell’Ottocento. Infatti le guerre napoleoniche avevano portato scompiglio in Europa e in particolare nella Confederazione Elvetica laddove i conflitti esistenti tra Napoleone e l’Inghilterra avevano causato non pochi danni alla fiorente industria tessile, anche perché il cotone proveniente dall’Inghilterra non poté più essere importato a seguito dell’embargo proclamato dai francesi.

L’unico posto dove il cotone attecchiva rigoglioso era sulle falde vesuviane. “Dall’Europa assediata, quindi, si cominciò a guardare con sempre maggiore interesse alle piantagioni napoletane. Così quando in Svizzera il cotone cominciò a mancare del tutto, fu più semplice per Giovan Giacomo Egg convincere alcuni operai a seguirlo nella nuova avventura nell’allora Regno di Napoli. Egg impiantò la sua attività a Piedimonte d’Alife e nel giro di qualche decennio divenne il più grande industriale del Regno. Le sue manifatture arrivarono ad occupare oltre 1300 operai, di cui più di trecento ragazze del Real Albergo dei Poveri. I principali fattori che determinarono il successo delle industrie tessili in Campania furono l’appoggio del governo borbonico, il sostegno del sistema bancario svizzero, l’abbondanza di manodopera locale, la forte richiesta del mercato interno ma anche la grande possibilità di esportazione verso i paesi del Mediterraneo. Dopo l’affermazione delle manifatture di Egg si spiegano così anche quelle dei cotonifici della Meyer&Zollinger a Scafati, fondati nel 1825, che arrivarono ad occupare quasi 1200 operai; della Filanda Vonwiller a Salerno sorta nel 1831; della manifattura Schlaepfer, della Wenner&Co. a Fratte e ad Angri (1835); della Filanda Fumagalli-Escher&C. a Salerno (1837), e di tante altre imprese minori”.

I cotonifici degli svizzeri costituirono un importante esperienza produttiva caratterizzata da un trend crescente e riuscendo persino ad affrontare i mutamenti politico-economici del 1860. Garibaldi, infatti, abolì di colpo il sistema doganale del Regno e l’equilibrato protezionismo di Casa Borbone generando il caos nell’industria meridionale. Per quanto riguarda lo stabilimento di Nocera la sua costruzione rispose alla volontà dei signori Vonwiller, d’accordo con Schlaepfer Wenner, di continuare l’ingrandimento dei reparti di filatura presenti nella Valle dell’Irno. La direzione tecnica fu affidata all’ingegnere Alfonso Escher, figlio del già noto svizzero Gaspare. Ma lasciamo spazio alle parole dello stesso Escher in merito al suo progetto: “Ben presto mi resi conto che la Valle dell’Irno non si prestava più per un nuovo impianto. E’ vero che l’organizzazione aziendale già esistente e le maestranze addestrate sul posto avrebbero facilitato un ingrandimento dell’industria. D’altra parte però erano sfavorevoli l’ubicazione nella stretta valle con le sue scomode comunicazioni e il fatto della manodopera esaurita”.

La conclusione dell’ingegnere era quindi la costruzione di una nuova fabbrica in un’altra zona: “Promettente era la situazione a Nocera la quale è sita all’orlo della vasta pianura alle falde di una catena di monti che divide il golfo di Napoli da quello di Salerno. Il villaggio ha 18.000 abitanti ed è adiacente a Pagani con altri 12.000. Nella circonferenza di appena 3km si conta una popolazione di circa 50.000 anime. A parte qualche fabbrica di pasta alimentare e tessitura a domicilio, non c’era altra attività industriale. Le prospettive di trovare qui degli operai nonché condizioni favorevoli per i trasporti non erano cattive. Insomma ero soddisfatto”. Così dopo varie analisi si decise di costruire il nuovo impianto a Nocera. La progettazione fu affidata all’architetto Adolfo Mauke il quale effettuò con lo stesso Escher un viaggio in Europa per studiare le nuove costruzioni di fabbriche, impianti tessili e macchinari. Il cotonificio di Nocera segnò un ulteriore passo in avanti rispetto ad altri impianti, poiché al modello della cosiddetta “fabbrica alta” si aggiunse la nuova tipologia a “shed”, caratterizzata da sistemi di copertura a carpiata con una falda vetrata generalmente esposta a nord, che consentivano di sviluppare l’intero ciclo di filatura e ritorcitura su di un unico livello. Il complesso era inoltre dotato di una centrale termica con due macchine a vapore e di un adeguato sistema di servizi igienici per il personale, nonché di particolari accorgimenti tecnici, come l’uso del cemento Portland per le fondazioni delle macchine ed un “aspirafumo” applicato alla ciminiera.

E’ interessante anche quello che scrive il direttore Escher a proposito della manodopera: “Non volevo assumere degli operai da Salerno già incamminati nel lavoro tessile. Benchè avessi ragione mi ero addossato assieme ai miei assistenti una bella fatica, perché anche in filatura si doveva insegnare ogni più comune manipolazione, a cominciare dal tenere in mano il filo. Dovevo essere sempre il primo che entrava in fabbrica e l’ultimo che usciva. I miei operai erano intelligenti e d’indole buona, ma fidatezza non fa sempre parte dell’intelligenza! Infatti constatai delle opinioni contrastanti per quanto riguarda i principi morali. L’onestà era un punto debole. Le bugie si dicevano con molta facilità. Era assolutamente necessario controllare ogni operaio, uomo e donna, all’uscita dello stabilimento. Altra caratteristica era la passività della gente nel caso di rimostranze verbali, ma d’altra parte una spiccata sensibilità di fronte ad ingiustizie”. A distanza di quasi un secolo e mezzo, testimonianze come quella del signor Escher sono di un’importanza notevole per la nostra comunità la quale non può, come scelleratamente sta accadendo, disperdere la memoria di un enorme patrimonio storico e culturale fondamentale per il mantenimento della sua identità. Ed è per questo che un ringraziamento andrebbe fatto a chi, come i professionisti del Centro Provinciale per il Restauro e la Conservazione della Fotografia, si impegna a far si che tale patrimonio possa essere conservato e tramandato alle generazioni future.

Alfonso Pergolesi

da: http://www.rinascitanocerina.it/?p=117

MCM: Quel sogno di industrializzazione diventato cumulo di macerieultima modifica: 2011-02-15T18:49:31+01:00da tonyan1
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