Unità d’Italia, i lager dei “liberatori” piemontesi e la deportazione dei soldati delle Due Sicilie

Unità d’Italia, i lager dei “liberatori” piemontesi e la deportazione dei soldati delle Due Sicilie

Immagine1.pngCirca sessantamila soldati del glorioso “Esercito Napolitano” furono internati e sottoposti ad ogni sorta di angherie, maltrattamenti e sevizie, fatti perire e poi sciolti nella calce viva dalle guardie carcerarie piemontesi, antesignani dei non da meno infami nazisti

Lucera, 04.02.2011 – Si avvicina la data del 17 marzo e già nel Sud “ribbolle” un certo malcontento (per la verità sono 150 anni che questo malcontento permane) già verificatosi tra l’altro con i fischi all’inno di Mameli in occasione delle partite di calcio a Napoli e a Palermo. In diverse parti del Sud incominciano a comparire manifesti listati a lutto con la scritta “17 marzo 2011, IO NON FESTEGGIO” ed altre iniziative di questo genere sono in programma nei restanti mesi dell’anno, a dimostrazione che, in fondo, malcontento e verità storica chiedono ancora delle risposte.
Dopo la resa di Gaeta, circa sessantamila soldati del glorioso “Esercito Napolitano” vennero deportati, dai “liberatori” savoiardi-piemontesi, nei campi di concentramento del Nord: bisognava “rieducarli” con la speranza di recuperarli. La loro unica colpa era soltanto quella di rispettare il giuramento di fedeltà prestato al loro sovrano e alla loro bandiera. Si chiese loro di rinnegare il giuramento alla loro patria, invasa senza nessuna dichiarazione di guerra da un esercito straniero, e servire
Vittorio Emanuele. Pochissimi lo fecero; gli altri preferirono patire «tutti coperti di rogna e verminia», come scrisse La Marmora, e perciò furono inviati nei lager di Bergamo, Milano, Alessandria, San Maurizio Canavese e Fenestrelle… Specialmente Fenestrelle, piccolo centro di Torino situato a mille e cento metri sulle Alpi, luogo impervio, divenne la tomba dei soldati borbonici, cittadini del Sud definiti “razza maledetta” o “razza generata”, secondo la teoria di Alfredo Niceforo o secondo la formulazione di Cesare Lombroso, studioso di origine ebraica (come è strana la storia!), che teorizzò per i meridionali la formulazione del «delinquente nato per regressione atavica» (O. Rossani, “Stato, società e briganti nel Risorgimento italiano”). Fenestrelle, il gulag dove ancora oggi è visibile l’iscrizione: «Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce» (ricorda l’iscrizione di Auschwitz) fu costruito dai Savoia alla fine del settecento e fu usato come carcere, per rinchiudervi sopratutto gli oppositori politici, come monsignore Bartolomeo Pacca, cardinale di Pio VII, il quale ebbe a dire che «la condanna alle Fenestrelle faceva in quei tempi tanto spavento in Italia, quanto suol farlo nelle parti settentrionali d’Europa la rilegazione in Siberia» (i cattivi Borbone invece nelle loro carceri facevano passeggiare liberamente i detenuti facendogli mandare a loro piacere i viveri desiderati, come ci ricorda Carlo Poerio in una lettera scritta a suo zio nel 1857: «Oggi abbiamo avuto una magnifica giornata di primavera e ho avuto la consolazione di passeggiare a mio piacere… Vi ho scritto per la posta d’inviarmi, col corriere di Pasqua, de’ frutti, de’ piselli, de’ carciofi e del burro, come di costume»). “La Civiltà Cattolica”, a proposito del ruolo di quella fortezza nei confronti dei soldati napoletani, scrisse: «Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad uno spediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza di broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento tra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re!».
Immagine.png«Certo che le vittime dovettero essere migliaia anche se non vennero registrate da nessuna parte. Morti senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo. Morti di nessuno. Terroni» (L. Del Boca, “Maledetti Savoia”).
«Nel campo di concentramento di Fenestrelle, quindi, giunsero i soldati “terroni” che avevano dichiarato aperta resistenza ai piemontesi: in questo terribile luogo di detenzione molti di essi cessarono di vivere e i loro miseri corpi, “appena coperti da cenci di tela”, venivano gettati, “per motivi igienici”, in una vasca ricolma di calce viva: onta della cultura progressista piemontese. Questi giovani sventurati soldati del Sud terminarono la loro vita in una terra straniera ed ostile, forse con il concitato ricordo e la struggente nostalgia delle famiglie e della Patria lontana, per non aver voluto sottostare ai servigi di un re e di uno Stato che non si sentivano di accettare e servire. Tra i soldati deceduti a Fenestrelle figurano anche due nostri conterranei: Matteo Scopettino di Chieuti, morto il 24 agosto 1861 all’età di 22 anni, ed Angelo Raffaele Cataneo di Ischitella, ventitreenne, deceduto l’11 febbraio 1865» . (G. Saitto, “La Capitanata fra briganti e piemontesi”).
«Non volevo credere che i primi campi di concentramento e di sterminio in Europa – dice Pino Aprile in “Terroni” li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin. (…) Decine di miglia di soldati borbonici sono internati in campi di concentramento al Nord, il più infame a Fenestrelle, una fortezza a una settantina di chilometri da Torino, su un costone roccioso a oltre 1.200 metri d’altezza, battuto da venti gelidi: la vita media degl’internati non superava i tre mesi; per garantire ulteriore tormento ai prigionieri furono divelte le finestre dei dormitori. Altri campi (non bastavano mai) vennero aperti ancora in Piemonte, Liguria, Lombardia… I carri bestiame usati dai nazisti per gli ebrei sembrano un lusso, a paragone delle navi e dei mezzi che si usarono per trasferire quei prigionieri da Sud a Nord» (in molti percossero anche a piedi l’intero tragitto, nda). «(…) Molti preferirono uccidersi. A Mantova, alcuni fuggiaschi vennero massacrati dai lancieri della guarnigione locale, con patriottica partecipazione dei civili. E in quei lager, in quella feroce invernata, i napoletani furono lasciati con le camicette estive, infestate di pidocchi, malati, digiuni o malnutriti. Ma il conto dei morti non c’è: non li registravano, li facevano sparire e basta (a Fenestrelle, nella calce viva: la vasca è ancora lì, dietro alla chiesa). Non si sa nemmeno, con certezza, quante decine di migliaia di militari prigionieri passarono e sparirono in quei campi (alcuni, migliaia, riuscirono a fuggire in Francia, Svizzera e nelle regioni dell’impero austro-ungarico, per il quale, poi, molti combatterono contro l’Italia)».

Un’altra pagina vergognosa analoga a questa, che credo molti italiani non conoscano, è offerta dall’arruolamento coatto dei soldati borbonici per la guerra civile americana (1861-1865). «Tra i combattenti italiani arruolati nei ranghi dell’esercito confederato figurano infatti molti soldati dell’Esercito Napolitano reclutati con il benestare del governo piemontese che cercava di liberarsi del considerevole numero di prigionieri rimasti in custodia dopo la guerra contro i Borbone. Nel dicembre 1860 e i primi mesi del 1861, le navi “Charles & Jane”, “Utile Olyphant” e “Elisabetta” iniziarono il trasferimento dei prigionieri borbonici a New Orleans. Secondo il diario del capitano Bradford Smith Hosliss, quella spedizione trasportò in tutto 1437 prigionieri borbonici sino a New Orleans, in seguito il capitano morì a Vint Farma durante il servizio con la cavalleria di Jeb Stewart. Altre due navi americane, la “Francis B. Cutting” e la “Southern Rights” trasportarono altri 816 uomini e la nave “Due Fratelli” ne trasportò ancora 122. Ulteriori trasporti furono effettuati dalla compagnia “Thomas brothers” di Palermo che fornì altre navi. Appena sbarcati, gli ex soldati borbonici furono assegnati a diverse unità militari confederate dello stato della Louisiana come la 1ª compagnia del 10º reggimento fanteria della Louisiana ed altri furono arruolati nella compagnia F del 22º reggimento di fanteria. Nonostante i soldati borbonici furono deportati per combattere per una guerra non loro, la maggior parte si comportò adeguatamente in battaglia e si distinse nelle varie campagne sino alla resa del generale Lee». (E. Cassani, “Italiani nella guerra civile americana”). Tra i caduti della guerra civile americana vi è anche un soldato borbonico di Lucera di cui aspettiamo di conoscere il nome, ma a Lucera interesserà a qualcuno?).
Vogliamo chiudere questa breve trattazione con la constatazione di
Giovanni Saitto: «(…) Sulle vessazioni subite dai militari meridionali si è innalzato un muro di silenzio e di omertà che cela agli occhi della storia e delle gente del Sud le gesta indegne dei novatori piemontesi». Nell’anno del 150º, tra festeggiamenti, rievocazioni, retorica e proposte di legge negazioniste, ci sarà una parola, un’accenno, un ricordo, insomma una “giustizia” per questi deportati meridionali dimenticati dalla storia e dall’Italia “unita”? Anche perché «non c’è memoria senza futuro». Anche per i vinti!
AUTHOR IURIS HOMO, IUSTITIAE DEUS.

Eduardo Gemminni

Unità d’Italia, i lager dei “liberatori” piemontesi e la deportazione dei soldati delle Due Sicilieultima modifica: 2011-02-15T19:15:00+01:00da tonyan1
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